Format Citazione

Avete presente quella sensazione del canestro perfetto ciafff, fatto magari da una posizione difficile, della boccia sbocciata con precisione, della palla da biliardo che va in buca dopo tre sponde, della frittata girata al volo con disinvoltura che atterra in scivolata al centro della padella, dell’oggetto che cade preso al volo? Quella sensazione di incastro, di soddisfazione e godimento, di quasi onnipotenza, di dominio sulla materia?
Spesso accompagnato da un “Me lo sentivo!”.
Un presentimento che accompagna tutto il gesto, dall’inizio alla sua fine.
Un intenzione interiore che si incastra perfettamente con il mondo esteriore, come un puzzle che clack! va con precisione nel suo posto. Ecco.
Come sarebbe vivere sempre così?

Format Citazione

Non c’è guarigione senza cambiamento
non c’è cambiamento senza scelta
non c’è scelta senza consapevolezza
non c’è consapevolezza senza ascolto
non c’è ascolto senza attenzione
non c’è attenzione senza intenzione
non c’è intenzione senza volontà
non c’è volontà senza guarigione

Format Citazione

Possiamo comunicare con il nostro corpo attraverso la lingua della percezione. Mediamente cresciamo imparando pochi vocaboli come dolore, piacere, prurito, bisogno di stirarsi e le informazioni che ci vengono dai sensi. Sono sensazioni generali, istintive e soprattutto condivisibili.
Ma sta tutto qua il vocabolario della percezione, la lingua parlata dal corpo?
La percezione, essendo soggettiva, ci dà spesso informazioni che non possono essere comprese dagli altri e così fin da piccoli non riceviamo dall’esterno una conferma di ciò che sentiamo. Lentamente nel tempo cominciamo a mettere da parte un sacco di “parole” del corpo e abbandoniamo lo sviluppo di questo linguaggio.
Fortunatamente c’è sempre tempo per imparare una lingua. Va studiata e approfondita come tutte le altre, dedicandoci tempo e attenzione, che in questo caso vuol dire spendere del tempo con noi stessi e le nostre sensazioni, ascoltarci.
La cosa interessante è che il maestro è la percezione stessa. Un po’ come internet che ci insegna ad usare internet stesso.
Le sensazioni devono essere codificate, sviscerate ed esplorate fino a capirne il significato e il senso. Espandere il vocabolario, costruire frasi fino a stabilire una comunicazione efficace e il più possibile utile.
Succederà poi a volte, come in tutte le relazioni, che non vogliamo ascoltare, che non siamo daccordo o che ignoriamo ciò che ci viene detto, ma di base resta una connessione che ci fa sentire più integrati e sensati.
Forse la lingua più parlata al mondo è proprio la percezione e chissà cosa potrà succedere quando l’unicità di ogni essere percettivo entra in comunicazione con quello gli altri. Sicuramente qualcosa di bello.

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In un’ora di danza non c’è un gesto o un movimento ripetuto, i danzatori sono sempre davanti a qualcosa di nuovo (improvvisazione).
Evolvono la loro capacità di adattamento attraverso la danza nello stesso modo in cui da bambini abbiamo evoluto il nostro movimento funzionale. Provare, ricercare, sperimentare. E’ un accrescimento del sistema propriocettivo, del sistema nervoso, della resilienza….è crescita.
Continua esplorazione del “cosa è possibile, cosa non lo è” con conseguente risoluzione fluida di errori ed imprevisti che danno vita a movimenti creativi e unici.
I pattern (negazione del presente e quindi dell’improvvisazione) sono rari, spesso scomposti e sviscerati nelle loro infinite possibilità.
Non esiste un entrare ed un uscire dal movimento, qualunque momento sta nel flow della danza. E’ come se non uscissero mai.
I danzatori sono in continuo contatto (anche non fisico) e si influenzano usando una comunicazione legata al peso e movimento.
Il progetto personale non esiste, esiste l’intenzione e l’impulso, ma la risoluzione è condivisa.
Non c’è nessuna forzatura nel voler fare andare le cose secondo l’idea dell’individuo.
Per improvvisazione si intende in senso generico l’atto di creare qualche cosa mentre la si esegue (wikipedia).
Vuol dire essere nel presente, nel qui ed ora, nell’imprevisto offerto dal partner, nel gioco.
Non è convenzionalmente bello, non può esserlo, proprio perchè la forma ha un focus esterno rispetto all’ esperienza.
E’ sul filo del rasoio di cosa può funzionare e cosa no, perchè è proprio in quello spazio di non confort che si evolvono i sistemi, che si crea il nuovo. Non si fugge dallo scomodo, si sta lì per vedere cosa porta. Non si cede alla tentazione di riportare al conosciuto.
Anche l’accettazione di ciò che non funziona viene risolto in condivisione e in fluidità e mai considerato un errore, anzi come nuove informazioni da esplorare.
C’è curiosità sul cosa può venire fuori, come la sorpresa di un regalo che mai si giudica per bellezza o bruttezza.
E’ arte. E’ creatività.

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Il cervello è un oggetto che vaga, che oscilla, che si muove in modo impredicibile a destra e a manca. Mentre sta andando verso un certo luogo, ad un certo punto, con la coda dell’occhio, vede che c’è una bella possibilità da un’altra parte, devia la strada e va lí. Le scoperte cosį accadono, accadono sulla base di connessioni inattese, che in altri termini sono errori …(ed altro ancora).

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Enantiodromia: « Ciò che si oppone conviene, e dalle cose che differiscono si genera l’armonia più bella »
(Eraclito, Frammenti)

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La musica nella contact. Per me, un ambiente sonoro stimolante senza essere impositivo o portante. Una musica/non musica che crea una bolla d’atmosfera, che aiuta il focus, lasciando libero il danzatore di poter accedere o no agli stimoli sonori come e quando vuole. Non deve facilitare la danza, non deve guidarla, ma solo dare una ulteriore possibilità. Un contenitore di proposte a cui si è liberi attingere nei tempi e nei modi che la percezione del danzatore richiede. La musica è un terzo danzatore con cui fare il trio solo quando ci va, quando non vogliamo Lei se ne sta lí come un osservatore disponibile e rispettoso del nostro mondo interno.
Il musicista non suona per far ballare, ma per arricchire lo spazio.

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